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21 Settembre 2020Il Tribunale riconosce una menomazione della integrità psico-fisica della persona e condanna l’INAIL al pagamento all’indennizzo previsto dalla Legge.
6 Ottobre 2020La pandemia da Coronavirus, oltre a dar luogo ad indagini che coinvolgono, ormai da mesi, gli scienziati, non lascia esente l’ambito del diritto, sul quale la stessa ha ed avrà ricadute di notevole portata.
Nello specifico, oggetto dell’analisi odierna, sarà l’attualissimo tema coinvolgente la responsabilità della struttura sanitaria per infezioni da SARS-CoV-2 contratte presso le strutture stesse.
Orbene, a tal fine, appare necessario prendere le mosse da una generica analisi della responsabilità civile attribuita alla struttura sanitaria per una qualsiasi infezione contratta presso la stessa (c.d. “infezione nosocomiale” o “ospedaliera”). Per infezione ospedaliera deve intendersi una qualsiasi infezione i cui sintomi si rendano evidenti dopo almeno 48 ore dal ricovero ospedaliero o successivamente alla dimissione, ma riferibili, attraverso uno studio causale coinvolgente l’analisi relativa al tempo di incubazione ed all’agente infettante, al ricovero presso la struttura sanitaria.
In linea generale, difatti, viene attribuita alla struttura sanitaria la responsabilità e, conseguentemente, l’obbligo risarcitorio nei confronti del paziente, qualora questi abbia contratto un’infezione presso la struttura stessa e salvo che quest’ultima non dimostri di aver agito nel pieno rispetto delle regole di diligenza e prudenza, da quantificarsi in relazione alla natura della prestazione svolta, e di aver posto in essere ogni comportamento necessario ed idoneo alla prevenzione del contagio. In altri termini, l’onere probatorio ricade sulla struttura sanitaria e, pertanto, sarà questa a dover dimostrare l’assenza degli elementi idonei a dar vita all’obbligo risarcitorio. Questa considerazione trova le sue radici nella Legge 24/2017 (Gelli-Bianco), la quale ha previsto in capo alla struttura sanitaria un’attribuzione della responsabilità su base contrattuale, comportando – tra le altre conseguenze – anche quella dell’inversione del probandi onere. Al soggetto danneggiato, difatti, competerà esclusivamente la prova relativa all’esistenza del rapporto con la struttura, nonché l’allegazione relativa all’insorgenza del morbo o all’aggravio dello stesso, dovendo – poi – la struttura dimostrare di aver agito secondo le regole di diligenza e prevenzione volte ad evitare l’insorgere dell’infezione.
Tale regola generale risulta, pertanto, applicabile anche alle infezioni da SARS-CoV-2 contratte presso le strutture ospedaliere; circostanza questa, peraltro, assai diffusa e che ha enormemente contribuito alla propagazione dell’agente virale.
La struttura, difatti, al fine di andare esente da responsabilità per i casi di pazienti i quali hanno contratto l’infezione da SARS-CoV-2 durante i ricoveri presso la stessa, dovrà fornire prova rispetto all’adozione di tutte le misure necessarie ed idonee a rendere l’evento evitabile. In altre parole, la stessa dovrà fornire prova rispetto all’inevitabilità dell’evento, adducendo, a sostegno, l’imprevedibilità del contagio alla luce di tutte le misure ed i protocolli adottati.
Pertanto, sulla scorta di quanto sinora esposto, la responsabilità della struttura si configura come una responsabilità di tipo omissivo, scaturente dalla carenza organizzativa volta alla prevenzione del contagio.
Un discorso ad hoc merita la questione relativa al contagio con conseguente evento morte del paziente. Orbene, in tal caso la prova del nesso causale potrebbe non essere così agevole.
L’infezione da CoViD-19, difatti, è caratterizzata – o meglio, tale aspetto risulta evidente con riferimento all’epoca di “inizio pandemia” – da un elevato tasso di mortalità nei soggetti che presentano un quadro clinico già compromesso. In tale evenienza, pertanto, potrebbe risultare maggiormente difficoltoso fornire la prova relativa all’esistenza del nesso di causalità tra la contrazione dell’infezione da SARS-CoV-2 avvenuta nell’ambito della struttura sanitaria e l’evento morte del paziente. A tale proposito risulta opportuno il richiamo alla norma dell’art. 42, 2° comma, c.p., il quale prevede che le cause sopravvenute escludano il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento.
Sul punto la Giurisprudenza di legittimità è intervenuta con la sentenza n. 33770/2017 (Cass. Pen. Sez. IV), chiarendo che l’infezione contratta presso la struttura ospedaliera non sia idonea ad interrompere il nesso di causalità tra la malattia da cui il paziente era già affetto e la morte dello stesso, essendo questa uno dei rischi tipici da prendere in considerazione nel caso di permanenza non breve nei reparti di terapia intensiva.
Per la contrazione dell’infezione da CoViD-19, tuttavia, non può ritenersi lo stesso. Difatti l’infezione da Coronavirus non può, certamente, ritenersi un “rischio tipico” e, pertanto, la valutazione relativa alla richiamata interruzione causale spetterà esclusivamente al Giudicante, in ambito processuale, svolgendo, di volta in volta, una valutazione casistica.