La Gestione dei rapporti di lavoro durante l’emergenza COVID-19
12 Maggio 2020L’Avv. Fabio Caprioni ottiene, in sede di reclamo, la cancellazione delle segnalazioni illegittime iscritte dalla Unicredit S.p.a.
21 Luglio 2020Assolta l’imprenditrice finita a processo perché accusata di non aver versato l’Iva per circa 64mila euro
https://www.quotidianolacitta.it/accusata-di-avere-debiti-in-realta-aveva-crediti/
Dal quotidiano La Città dell’8 luglio 2020 “ROSETO – Si è trovata sotto processo per un reato grave: omessa dichiarazione fiscale con la finalità di evadere le imposte. Per la Procura di Teramo, che si è mossa su segnalazione dell’Agenzia delle Entrate, l’imprenditrice, una giuliese che aveva un’attività a Roseto, non aveva presentato le dichiarazioni fiscali relative all’anno 2011 per non pagare le tasse. Secondo le stime degli investigatori l’imputata avrebbe evaso Iva per 64.531,00 euro. In realtà, ma a stabilirlo ci è voluto un processo penale, l’imprenditrice non solo non aveva evaso le tasse ma era addirittura creditrice dell’Erario. Una vicenda, quella approdata davanti al giudice Carla Fazzini, che può creare un precedente importante per quei casi in cui l’Agenzia delle Entrate si è mossa attraverso ragionamenti induttivi.
IL CASO. L’imputata, P.B., è stata per alcuni anni amministratore unico e legale rappresentante di una società di confezione di articoli di abbigliamento a Roseto degli Abruzzi. Nel 2016 l’Agenzia delle Entrate invia una missiva alla sede legale dell’azienda per chiedere dei documenti relativi all’anno di imposta 2011 coi quali determinare il volume di affari e l’Iva. La lettera, però, non viene ritirata perché la società era stata ormai chiusa per problemi economici. Così l’Agenzia delle Entrate va avanti per la sua strada segnalando l’azienda alla magistratura per omessa esibizione delle scritture contabili obbligatorie. Da qui la ricostruzione in via induttiva del volume d’affari e del reddito d’impresa, da parte dell’Agenzia delle Entrate, per un totale di 159.791,00 euro. Una cifra che porta i controllori a stimare un imponibile evaso di poco più di 64mila euro: scatta così il reatodi omessa dichiarazione (ex art. 5 D. lgs. 74/2000). Per l’imprenditrice iniziano i guai giudiziari. Si rivolge all’avvocato Amedeo Di Odoardo che, studiate le carte ed acquisita la necessaria documentazione, porta dinanzi al giudice una serie di elementi tanto fondati da porsi come base per la sentenza di assoluzione. Determinante uno dei testimoni citati in aula dalla difesa, il commercialista che aveva seguito la società. Il professionista ha spiegato, carte alla mano, come le carenze documentali dell’epoca fossero irrilevanti perché meri errori materiali. E, soprattutto, come dal bilancio aziendale fosse agevole ottenere tutti i dati del conto economico. Iva compresa. A conti fatti, per l’anno 2011 la società aveva un’Iva sulle vendite di 61.844,43 euro e sugli acquisti di 62.078,50: significa che c’era addirittura un’Iva a credito di 234,07 euro e non a debito di oltre 64mila euro come contestato dall’Agenzia e dalla Procura. Dunque dalla società nulla era dovuto all’Erario a titolo di Iva per l’anno 2011.Il pm, al termine del processo, ha chiesto per l’imprenditrice una condanna a 1 anno e 10 mesi di reclusione. Ma il giudice ha sposato la tesi difensiva, assolvendo la donna perché “il fatto non costituisce reato”, ritenendo che la pubblica accusa in casi simili debba provare in giudizio l’effettivo importo dell’Iva a debito non essendo sufficiente una ricostruzione per via induttiva. Nel caso che ha portato l’imprenditrice a processo emerge assenza di dolo, ma anche assenza di offesa verso l’Erario. E se non vi è un’offesa (lesione o messa in pericolo), non c’è reato.