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29 Settembre 2020Con Sentenza n. 150/2020 la Corte Costituzionale ha sancito l’incostituzionalità dell’art. 4 del D.Lgs. 23/2015 nella parte in cui lo stesso fa riferimento al solo parametro dell’anzianità di servizio per commisurare l’indennità minima da conferire al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo per vizi formali o procedurali. La norma posta al vaglio della Corte, difatti, recita: “Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966 o della procedura di cui all’articolo 7 della legge n. 300 del 1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3 del presente decreto.”. Il criterio per la determinazione del quantum relativo all’indennità risarcitoria rimarrebbe, pertanto, fissato entro un parametro rigido quale è quello dell’anzianità di servizio, senza fornire al Giudice alcun margine di valutazione discrezionale, margine – invece – assolutamente necessario affinché siano rispettati i principi, costituzionalmente rilevanti, di uguaglianza e ragionevolezza.
Al fine di comprendere al meglio la natura della norma che ci occupa è bene svolgere una breve disamina delle “tutele crescenti”, introdotte dal legislatore a beneficio dei lavoratori titolari di contratti a tempo indeterminato. In data 7 marzo 2015 è entrato in vigore il D.lgs. n. 23/2015, attuativo del “Jobs Act”, il quale ha introdotto un differente regime sanzionatorio per le ipotesi di licenziamento illegittimo, il quale trova il suo fulcro non già nella reintegra del lavoratore sul posto di lavoro (sempre possibile ma in limitati casi), bensì nella corresponsione allo stesso di un’indennità risarcitoria sostitutiva della reintegra. L’espressione “tutele crescenti” si riferisce esattamente al metodo di calcolo per la quantificazione della suddetta indennità risarcitoria, la quale sarà commisurata all’anzianità di servizio. Ebbene, tale metodologia di calcolo, prima della odierna sentenza, era già stata oggetto di scrutinio costituzionale proprio a motivo della rigidità del parametro di calcolo adoperato, il quale non lasciava alcun margine discrezionale al Giudice nella quantificazione dell’indennità. Con la Sent. n. 194/2018, difatti, la Consulta aveva già dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, co. 1, del D.Lgs. n. 23/2015, proprio in ragione del fatto che il quantum dei risarcimenti derivanti da licenziamenti illegittimi fosse legato esclusivamente all’anzianità di servizio. Nel corpo della decisione, difatti, la Corte evidenzia come sia di massima rilevanza che il Giudice possa valutare anche altri parametri nella definizione quantitativa dell’indennità risarcitoria, quali il numero dei dipendenti del datore di lavoro, la situazione economica dello stesso, il comportamento delle parti, restando l’anzianità di servizio certamente un elemento rilevante per la quantificazione dell’indennità, ma non l’unico. La Corte, difatti, sostiene che solo lasciando un minimo margine discrezionale al Giudicante e non serrando la sua decisione nelle strette maglie di un parametro la cui rigidità risulta evidente, si possa effettivamente ottenere una quantificazione che sia rispettosa espressione dell’effettivo danno subito dal lavoratore.
Con la sentenza n. 150/2020 la Corte, interrogata rispetto alla legittimità costituzionale dell’art. 4 del D.Lgs. n. 23/2015, risponde – di fatto – confermando il precedente decisum relativo all’art. 3 del medesimo Decreto. Anche nel caso di licenziamento illegittimo per violazione di requisiti formali o procedurali il Giudice non potrà essere – per così dire – “attanagliato” dagli angusti margini del criterio dell’anzianità di servizio; al fine di assumere una decisione che sia rispettosa sia dei principi di uguaglianza e ragionevolezza, sia della “personalizzazione” dell’esperienza del lavoratore, bisognerà garantire uno “spazio di manovra” meno angusto all’organo giudicante.
Quanto detto può trovare conferma altresì guardando alla finalità precipua dello strumento risarcitorio, ossia quella della “compensazione”, attraverso denaro, di un pregiudizio effettivamente subito, finalità che – inevitabilmente – verrebbe inficiata in assenza di una valutazione casistica e considerevole di molteplici fattori, in quanto inidonea a riflettere l’effettivo danno sofferto dal lavoratore licenziato.