
Recesso unilaterale del datore di lavoro dalle prassi e dagli usi aziendali: è possibile?
23 Gennaio 2022
Scelta dei sindacati con cui trattare da parte del datore di lavoro: è possibile? – Trib. Padova, Sent. 30 dicembre 2021.
11 Febbraio 2022Il D.Lgs. n. 74/2000, relativo ai reati tributari, all’art. 2, prevede il reato di c.d. “dichiarazione fraudolenta”. Orbene, tale tipo di fattispecie criminosa trova configurazione laddove “chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi…”.
Il secondo comma della citata norma, segnatamente, prevede che: “Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria…”.
Orbene, altra questione che – necessariamente – deve trovare chiarimento nell’ambito di tale contributo è quella relativa al concorso di persone nel reato.
Senza alcuna presunzione di completezza, il concorso di persone nel reato può essere definito come “collaborazione” tra più soggetti finalizzata alla commissione di una fattispecie integrante reato. L’art. 110 c.p., nello specifico, prevede che: “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”.
Orbene, nella fattispecie che ci occupa, la Corte di Cassazione si è occupata della questione concernente l’applicabilità delle norme relative al concorso di persone nel reato al Dottore Commercialista che – nell’ambito della prestazione della propria opera professionale in favore di un cliente – abbia omesso di verificare la regolarità dell’emissione delle fatture da parte di quest’ultimo.
Nello specifico la Corte di Cassazione ha fornito risposta a tale quesito nell’ambito della Sentenza n. 159/2022, resa in data 5 gennaio 2022.
La vicenda prendeva le mosse dal caso di un commercialista che, nella sua qualità di professionista e depositario delle scritture contabili di talune società e consapevole dell’attività illecita posta in essere dalle società medesime e dagli amministratori di queste finalizzata all’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, si rendeva accondiscendente nell’indicare nell’ambito delle dichiarazioni annuali relative alle richiamate imposte un gran numero di elementi passivi fittizi, a tal proposito utilizzando dei documenti relativi ad operazioni in realtà inesistenti.
Orbene, la Suprema Corte, sulla scia di un costante orientamento presso la Giurisprudenza di legittimità, condannava – oltre agli amministratori delle predette società – anche il Dottore Commercialista per concorso nel reato di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.
Nell’ambito della richiamata pronuncia, difatti, è possibile leggere: “…il commercialista di una società può concorrere nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, agendo a titolo di dolo eventuale… Risulta pacifica la configurabilità del concorso del commercialista con il contribuente, in generale, nei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, e, più in particolare, nei reati connessi a dichiarazioni: si è affermato che il commercialista può concorrere, ex art. 110 c.p., nel reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, con l’emittente di queste ultime (Sez. 3, n. 28341 del 01/06/2001, Rv. 219679-01); lo stesso principio, inoltre, è stato affermato in relazione al reato di indebita compensazione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10-quater (Sez. 3, n. 1999 del 14/11/2017, dep. 2018, Rv. 272713-01) ed in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ove il commercialista è stato ritenuto concorrere con il legale rappresentante dell’ente (cfr Sez 3 n. 28158 del 29.03.2019, Caldarelli e altri, non massimata; Sez. 3, n. 7384 del 27/02/2018, dep. 2019, Di Carlo ed altri; Sez.3 n. 19335 del 11/02/ 2015, Magistroni, non massimata; Sez. 3, n. 39873 del 16/04/2013, Proserpi, non massimata)…”.
In aggiunta a ciò la Suprema Corte ha chiarito che il contributo causale del concorrente possa manifestarsi attraverso delle forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, ossia non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale. In altri termini, a dire della Corte di Cassazione: “il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà…”.
Come conseguenza di ciò, pertanto, risulta che sarà sufficiente, ai fini dell’integrazione del reato, che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti, e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato poichè in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti.
Nella fattispecie, pertanto, il commercialista è stato definito colpevole del reato ascrittogli, in concorso con gli amministratori delle società, suoi clienti, in quanto con la sua condotta professionale avrebbe agevolato o, comunque, reso meno gravoso il compimento del proposito criminoso.