
Whistleblowing: cosa prevede la nuova normativa
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16 Ottobre 2023La questione di cui trattiamo prende le mosse da un ricorso proposto avverso l’ordinanza del Tribunale che aveva dichiarato inammissibile l’appello trasmesso telematicamente dal difensore per avere i programmi di verifica accertato l’assenza di sottoscrizione digitale dell’impugnazione ed il mancato riconoscimento da parte del sistema della firma asseritamente apposta dal difensore in calce all’atto di appello esclusivamente in formato cartaceo.
Chiamata ad esprimersi sul punto la Corte di Cassazione penale, Sez. VI, con la sentenza 2 agosto 2023, n. 34099 – nel disattendere la tesi difensiva secondo cui insussistente era la causa di inammissibilità dell’impugnazione che la normativa riconduce alla sola mancanza di sottoscrizione dell’atto di impugnazione e non anche per l’irregolare sottoscrizione dovuta alla doppia sottoscrizione – ha invece affermato il principio secondo cui non è confutabile con una verifica “in proprio” l’attestazione della Cancelleria che non rilevi l’invalidità o l’irregolarità della firma digitale, ma la sua assenza nell’atto di impugnazione, conseguendone, pertanto, l’applicabilità dell’art. 24, comma 6-sexies, lett. a), D.L. n. 137/2020 che prevede l’inammissibilità unicamente in ipotesi di mancata sottoscrizione dell’atto di impugnazione da parte del difensore, né è applicabile il principio del favor impugnationis, la cui portata non può certo spingersi sino al punto di sterilizzare le tassative disposizioni che censurano con l’inammissibilità il mancato rispetto della disciplina.
Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, deve essere ricordato che l’art. 24, comma 6 – sexies, D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, il cui contenuto è sovrapponibile a quanto previsto dall’art. 5-quinquies del D.L. 31 ottobre 2022, convertito con modificazioni dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, con cui è stato introdotto “a regime” l’art. 87-bisD.Lgs. n. 150/2022, prevede che «Fermo quanto previsto dall’art. 591 del codice di procedura penale, nel caso di proposizione dell’atto ai sensi del comma 6-bis l’impugnazione è altresì inammissibile:
a) quando l’atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore;
b) quando le copie informatiche per immagine di cui al comma 6-bis non sono sottoscritte digitalmente dal difensore per conformità all’originale;
c) quando l’atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui al comma 4;
d) quando l’atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è intestato al difensore;
e) quando l’atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all’articolo 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4».
La disciplina che regola l’attuale sistema delle impugnazioni effettuate in via digitale trova dunque la sua origine in quella che il legislatore aveva previsto durante la fase emergenziale per il contrasto della pandemia da Covid-19 che aveva, proprio nell’ambito di una autonoma regolamentazione dello specifico settore interessato dall’intervento normativo, introdotto cause di inammissibilità ulteriori rispetto a quelle già disciplinate, quanto a regime delle impugnazioni, dall’art. 591 c.p.p.
L’art. 24, comma 6 – sexies, lett. a), per quanto qui di interesse, tassativamente prevede l’inammissibilità unicamente in ipotesi di mancata sottoscrizione dell’atto di impugnazione da parte del difensore e non anche allorché la stessa risulti invalida o irregolare.
La giurisprudenza ha infatti affermato che in tema di disciplina emergenziale per la pandemia da Covid-19, è inammissibile ai sensi dell’art. 24, comma 6-sexies, del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, conv., con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, l’impugnazione che, pur essendo stata trasmessa a mezzo posta elettronica certificata, risulti priva di sottoscrizione digitale (Cass. pen., Sez. VI, n. 8604 del 22/02/2022).
È stata, inoltre, ritenuta inammissibile la memoria difensiva che, pur essendo stata ritualmente trasmessa a mezzo posta elettronica certificata, risulti priva di sottoscrizione digitale (Cass. pen., Sez. VI, n. 26313 del 3/6/2021).
Nel caso in esame, il Tribunale aveva dichiarato inammissibile l’appello trasmesso telematicamente da un avvocato avverso la sentenza emessa dallo stesso Tribunale con cui l’assistito era stato dichiarato colpevole in ordine al delitto di cui all’art. 387-bis c.p..
L’ordinanza aveva rilevato come i programmi di verifica avessero accertato l’assenza di sottoscrizione digitale dell’impugnazione ed il mancato riconoscimento da parte del sistema della firma asseritamente apposta dal difensore in calce all’atto di appello esclusivamente in formato cartaceo; gli stessi programmi utilizzati accertavano la regolarità della sola firma digitale contenuta nel mandato difensivo.
Ne era conseguita l’inammissibilità dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 24, commi 6-bis, 6-sexies e 6-septies del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, nella L. 18 dicembre 2020, n. 176.
Ricorrendo in Cassazione, la difesa ne sosteneva l’erroneità, in particolare rappresentando che, contrariamente a quanto affermato nell’ordinanza, l’impugnazione risultava regolarmente firmata digitalmente su file “PDF nativo” conformemente alle prescrizioni della normativa in vigore richiamata.
La difesa aveva infatti provveduto a verificare attraverso la “InfoCert Tinexta Group Dike GoSign“, applicazione riconosciuta dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) tra i software in grado di elaborare file firmati in modo conforme alla deliberazione del Centro nazionale per l’informatica della Pubblica amministrazione (“CNIPA”) del 21 maggio 2009, n. 45 che ha rilevato la validità e l’integrità della firma (sottoscritto dall’avvocato in formato “PADES” con dispositivo di firma digitale “Namirial” S.p.a.).
La Cassazione ha ritenuto corretto l’operato del Tribunale che, dopo aver preso atto del rapporto di verifica effettuato dalla Cancelleria che aveva accertato che l’impugnazione della sentenza non era firmata digitalmente, si era attenuto alla previsione normativa sopra citata ed emesso ordinanza con cui era stata dichiarata inammissibile l’impugnazione, disponendo l’esecuzione del provvedimento impugnato ex art. 24, comma 6-septies, D.L. n. 137/2020.
A fronte del citato accertamento, la questione sottoposta dalla difesa (che ne contestava l’esito, prospettando un errore del sistema informatico della cancelleria) implica, per la S.C., un accertamento di fatto che presuppone una verifica (ora per allora) sulla validità legale della firma digitale, che avrebbe dovuto essere sostenuta con adeguate allegazioni di consistenza tale da rendere evidente l’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale.
Nel caso di specie, la difesa aveva rappresentato di aver effettuato detta verifica attraverso l’utilizzo di applicativi riconosciuti dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) giusta deliberazione del Centro nazionale per l’informatica della Pubblica amministrazione (“CNIPA”) del 21 maggio 2009, n. 45 che avrebbe rilevato la validità e l’integrità della firma in conformità con l’attuale disciplina.
Tuttavia, per i Supremi Giudici, la verifica effettuata dal ricorrente “in proprio“, certamente sulla base di atti – di cui ha e mantiene la disponibilità – non necessariamente corrispondenti a quelli che, a mezzo mail risultano trasmessi, ricevuti ed accettati dalla Cancelleria del Tribunale (aspetto determinante che il ricorso non ha valutato), non risulta sufficiente a confutare l’attestazione della Cancelleria che non ha rilevato l’invalidità o l’irregolarità della firma digitale, ma la sua assenza.
Non sovrapponibile, quindi, per la Cassazione, risulta il principio di diritto espresso dalla stessa Corte, secondo cui non costituisce causa di inammissibilità dell’impugnazione di un provvedimento cautelare la mera irregolarità della sottoscrizione digitale che si era realizzata con il mancato valido riconoscimento da parte del sistema di verifica dell’ufficio giudiziario destinatario, con esito di “certificato non attendibile” (Cass. pen., Sez. V, n. 22992 del 28/4/2022, CED Cass. 283399 – 01).
Il caso esaminato nella citata decisione, precisa la S.C., è estraneo all’ambito applicativo del citato art. 24, comma 6-sexies, lett. a), che tassativamente prevede l’inammissibilità unicamente in ipotesi di mancata sottoscrizione dell’atto di impugnazione da parte del difensore e non anche allorché la stessa risulti invalida o irregolare.
Ancora, illogico si è ritenuto il rappresentato erroneo o inadeguato funzionamento del sistema di verifica del Tribunale, visto che lo stesso sistema era stato in grado di rilevare la corretta apposizione della firma digitale sul mandato conferito all’avvocato, evenienza che dimostra, per la Cassazione, come nessun problema afferente alla tipologia di applicativo utilizzato dall’Ufficio giudiziario e al suo funzionamento potesse logicamente aver interessato, in maniera eccentricamente selettiva, proprio la firma digitale apposta sull’impugnazione tenendo indenne il mandato conferito al difensore.
Né infine si è ritenuto applicabile, nel caso di specie, il principio del favor impugnationis sulla base di argomentazioni di natura sostanziale (quali la firma riprodotta sul cartaceo e la sua certa provenienza dall’autore), la cui portata non potrebbe per la Cassazione certo spingersi sino al punto di sterilizzare le tassative disposizioni che censurano con l’inammissibilità il mancato rispetto della disciplina in ordine alla necessaria presenza della firma digitale che regola la trasmissione delle impugnazioni, i cui requisiti di forma sovraintendono alla tutela della certezza della provenienza dell’atto dal suo autore non diversamente declinabile.
Avv. Amedeo Di Odoardo
Avv. Cecilia Di Guardo