
Principio di immutabilità della contestazione
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CITAZIONE IN PRIMO GRADO NULLA: LA CORTE D’APPELLO DEVE RINNOVARE GLI ATTI
26 Gennaio 2024La Corte di Cassazione si è recentemente espressa in materia di assegno divorzile, con specifico riferimento alla valutazione del periodo di convivenza prematrimoniale ai fini della quantificazione dello stesso.
Come è noto, la Legge n. 898/79, all’art. 5, comma 6, come modificata per effetto della Novella del 1987 n. 74, dispone che “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Le modifiche più significative rispetto alla precedente versione della norma attengono alla valutazione di tutti gli indicatori tra cui “le condizioni dei coniugi”, il “reddito di entrambi”, “il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune” e le “ragioni della decisione” come fattori dei quali il giudice deve “tenere conto” nel disporre l’assegno di divorzio, nonchè la condizione dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarli per ragioni obiettive, in capo all’ex coniuge che richieda l’assegno.
Il testo della norma prevede, innanzitutto, che il giudice tenga sempre conto: delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del rapporto. Effettuata questa valutazione, il giudice disporrà l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.
La Corte di Cassazione ha affermato che i criteri riportati, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno dovuto all’ex coniuge, devono trovare applicazione in riferimento all’intera durata del vincolo matrimoniale, anzichè a quella effettiva della convivenza, dovendosi in particolare comprendere, nella nozione di contributo fornito da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi, non solo quello offerto nel periodo della convivenza (coniugale), ma anche quello prestato in regime di separazione, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli (cfr. Cass., Sez. I, 7/11/1981, n. 5874; 29/05/1978, n. 2684). La durata del vincolo coniugale, pertanto, non assume più rilievo esclusivamente ai fini della quantificazione dell’assegno, come ritenuto in precedenza, ma viene in considerazione, unitamente agli altri criteri, anche ai fini dell’accertamento del relativo diritto, e ciò può quindi giustificarne l’esclusione, ove, per la sua brevità, non abbia consentito la prestazione di un significativo contributo o il sacrificio di apprezzabili aspettative professionali da parte del richiedente.
Segnatamente, la Suprema Corte ha osservato come: “Ove il matrimonio si ricolleghi, in ragione di un progetto di vita comune, a una convivenza prematrimoniale della coppia, vertendosi, al più, in «fasi di un’unica storia dello stesso nucleo familiare», va computato, ai fini dell’assegno divorzile, il periodo della convivenza prematrimoniale solo ai fini della verifica dell’esistenza di scelte condivise dalla coppia durante la convivenza prematrimoniale, che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare sacrifici o rinunce alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio.”.
La Corte, pertanto, ha chiarito come sia necessaria una previa allegazione e prova rigorosa, alla luce dei seguenti criteri:
a) la convivenza prematrimoniale rileverà, ai fini patrimoniali che interessano, ove consolidatasi nel matrimonio, se assuma «i connotati di stabilità e continuità»;
b) l’assegno divorzile, nella sua componente compensativa, presuppone un rigoroso accertamento del nesso causale tra l’accertata sperequazione fra i mezzi economici dei coniugi e il «contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali»;
c) sarà necessario verificare poi l’effettivo nesso tra le scelte compiute nella fase di convivenza prematrimoniale e quelle compiute nel matrimonio.
E’ stato quindi enunciato il seguente principio di diritto: «Ai fini dell’attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell’art. 5, c.6, l. n. 898/70, dell’assegno divorzile, avente natura, oltre che assistenziale, anche perequativo-compensativa, nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase «di fatto» di quella medesima unione e la fase «giuridica» del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l’assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l’esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».
Avv. Cecilia Di Guardo